Iran 1988: storia di un massacro dimenticato


Dopo la morte dell’ex presidente della Repubblica Islamica iraniana Ebrahim Raisi, non sono di certo passate inosservate le manifestazioni di gioia da parte degli oppositori del regime in buona parte del mondo occidentale. Alcuni membri della diaspora hanno voluto ricordare il massacro da Raisi nell’estate del 1988, quando cessarono le attività belliche contro l’Iraq. Ma cos’è avvenuto nelle carceri iraniane quell’anno e quale ruolo ricoprì Raisi?


A cura di Gabriele Avallone

Khomeini e i difficili rapporti con i movimenti d’opposizione

Prima di raccontare il massacro che avvenne in Iran nel 1988, occorre fare un quadro generale sulle realtà politiche che emersero subito dopo la Rivoluzione Iraniana. L’ayatollah Khomeini, da poco tornato in Iran, non è un mistero che mal sopportasse la presenza di alcuni gruppi di sinistra come i Mojahedin-e Khalq (Mojaheddin del Popolo), i Fedayan e i membri del noto partito comunista del Tudeh. I contrasti e gli scontri sia fisici sia verbali tra gli esponenti dell’opposizione, in particolare dei Mojahedin, e i sostenitori dell’ayatollah si fecero sempre più intensi subito dopo la caduta dello Shah e la sua fuga da Teheran avvenuta nel 1979. Il MeK non solo si oppose alla legge che rese l’hijab obbligatorio, ma decise di boicottare il referendum sulla costituzione tenutosi alla fine dell’anno. Ciononostante, il supporto verso questo movimento continuò ad aumentare, così come gli attacchi inferti dai seguaci di Khomeini. Secondo il rapporto del MeK, “durante questo periodo, almeno 50 sostenitori vennero uccisi e diverse migliaia furono imprigionati per avere distribuito giornali e per altre attività politiche pacifiche.”[1] Un clima di paura e violenza si diffuse in tutto il Paese, e tra il 1981 e il 1987 centinaia di prigionieri politici furono condannati a morte in seguito a processi arbitrari. Ma questo fu solo l’inizio di una stagione che avrebbe condotto Khomeini a prendere dei provvedimenti nei confronti dei suoi acerrimi rivali interni. La resa dei conti era vicina.

La Fatwa della morte: una vergogna iraniana

La guerra con l’Iraq giunse alla sua conclusione nell’estate del 1988, quando l’Iran su forti pressioni internazionali dovette accettare la risoluzione 598 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che prevedeva un cessate il fuoco tra le due parti in campo. Nel frattempo il MeK, ospite del regime di Saddam, diede inizio all’operazione “Eternal Light” verso i territori iraniani senza alcun successo, poiché venne respinta dai Pasdaran. Per queste ragioni, temendo per la tenuta del nuovo regime, Khomeini emanò una fatwa (editto religioso) contro i Mojahedin. Secondo Human Rights Watch quest’operazione “fornì un pretesto alle autorità per eliminare molti prigionieri politici in carcere, inclusi i membri del MeK arrestati e condannati negli anni precedenti.”[2]

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Il defunto presidente iraniano Ebrahim Raisi condannò a morte migliaia di questi detenuti nelle prigioni di Teheran. Raisi, infatti, ricoprì un ruolo centrale nelle famigerate “Commissioni della Morte” che, in pochi minuti, decisero il destino dei membri del MeK. Per questo motivo ricevette il soprannome di “Macellaio di Teheran” dai suoi stessi concittadini. Tuttora oggi non sappiamo l’esatto numero delle vittime. Il giornalista Struan Stevenson in un suo articolo scrisse che “almeno 30000 prigionieri politici, la stragrande maggioranza dei quali erano membri dei Mojaedin del Popolo, furono massacrati.”[3] Le stime del rapporto di Amnesty International, invece, sono più basse, circa 5000 prigionieri uccisi. Purtroppo non sapremo mai l’esatto numero di coloro che persero la vita nel massacro prigioni in Iran in quel 1988, anche a causa delle autorità locali che fecero di tutto per occultare la verità, rifiutandosi di dire ai parenti delle vittime “quando, come e perché i loro cari vennero uccisi e tenendo nascosti i loro resti.”[4]

Ancora oggi nessuno è stato ufficialmente perseguito per questi crimini. E nonostante questo misfatto rischi perdersi tra le pagine della storia, gli iraniani non si arrendono,  continuando a mantenere vivo il ricordo dei loro connazionali che persero tragicamente la vita nel 1988.


Note

[1] “History and Background of 1988 Massacre”, NCRI, 2020, History and Background of 1988 Massacre – NCRI (ncr-iran.org)
[2] “Iran’s 1988 mass executions: evidence & legal analysis of Crime against Humanity”, Human Rights Watch, 2022, Iran’s 1988 Mass Executions | Evidence & Legal Analysis of “Crimes Against Humanity” (hrw.org)
[3] S. Stevenson, “The forgotten mass execution of prisoners in Iran in 1988”, The Diplomat, 31 luglio 2013, The Forgotten Mass Execution of Prisoners in Iran in 1988 – The Diplomat
[4] “Blood-Soaked Secrets: mass secret killings of political dissidents in 1988”, Amnesty International, 31 ottobre 2018, Blood-Soaked Secrets – Amnesty International


Foto copertina: Durante il massacro del 1988 in Iran, migliaia di sostenitori dell’OMPI furono giustiziati sommariamente da Teheran, in un omicidio di massa che le Nazioni Unite e i gruppi per i diritti umani hanno definito crimini contro l’umanità. (Organizzazione dei Mojahedin popolari iraniani/Foto d’archivio)