Droni: la triste realtà oltre lo schermo


Come ci si arrende ad un drone esplosivo? Come ci si sente a vedere “live” gli ultimi attimi di vita di un soldato avversario? È questo il futuro della guerra?


Deumanizzare la guerra

Da molti anni oramai, nel parlato comune e nelle immagini che la cultura pop tramite film, serie TV, videogiochi e fumetti offre della guerra, ha iniziato a serpeggiare l’idea che quest’ultima sia stata deumanizzata. Vi sono molte accezioni di questo concetto, dalle frasi e i discorsi colloquiali “da bar” sino agli inflazionati discorsi sull’apocalittico “bottone rosso”. Immagini certamente comuni ed esagerate, lontane dalla realtà dei fatti ma forse ancorate ad essa sotto alcuni aspetti. Questi sono stati resi visibili soprattutto con il teatro di guerra in Ucraina, che se da un lato è stato additato come la degenerazione di un conflitto in una guerra dalle connotazioni anacronistiche, in un gioco di opposti ed estremi è anche un teatro di guerra dove strumenti avanzati hanno trovato spazio di utilizzo. A farla da padroni, in un certo senso sia sul campo che sui media e social network che seguono le vicende di questo sanguinoso conflitto, sono stati i droni. Dai droni di taglia più grossa, prodotti direttamente o indirettamente dall’industria bellica dei paesi in lotta, adibiti a ricognizione, bombardamento e attacchi kamikaze, sino ai più semplici prodotti ad uso civile che hanno trovato, paradossalmente, “nuova vita” con granate ed esplosivi attaccati al ventre. Il web, a due anni di conflitto, è invaso da video provenienti direttamente dal fronte di questi droni in funzione. Dai massicci attacchi dall’aria verso infrastrutture energetiche e città come visto da parte russa (in minor modo da parte ucraina), agli attacchi marittimi verso le navi militari in alto mare e nei porti sino a video di carri armati, camion e anche singoli soldati inseguiti e colpiti dalle granate attaccate a piccoli droni o dal drone stesso in funzione “suicida”.

Ad un primo sguardo, tutto questo può sembrare una evoluzione della guerra verso qualcosa di diverso; l’utilizzo dei droni ha messo in discussione diversi punti della dottrina militare. Ne sono esempi il già citato affondamento di diverse navi della flotta russa del Mar Nero ad opera di barchini esplosivi il ruolo stesso del carro armato al fronte, sino ai dilemmi su una efficace difesa elettronica da questa minaccia. Insomma, i piloti di droni sembrano essere diventati i veri “assi” di questa guerra ma come ogni medaglia, l’altra faccia dell’utilizzo dei droni è sicuramente meno asettica e forse più preoccupante.

Insegui, distruggi, ripeti

Storicamente, sino ai tempi più recenti, il ruolo del “tiratore scelto” è sempre stato molto controverso e a volte profondamente disturbante per l’operatore stesso. Guardare in faccia il proprio nemico prima di premere il grilletto e porre fine alla sua vita, osservandone gli ultimi attimi, è sempre stato un qualcosa di molto forte e di “umano”; eppure, in quel caso l’interazione è unilaterale, generalmente il bersaglio non ha neanche coscienza di essere sotto tiro, al pari dall’essere bersaglio di un missile o di un bombardamento; triste realtà della guerra. Con i droni, qualcosa di simile sembra essere in atto ma con venature molto più inquietanti. Certo, anche i piloti di droni si trovano e purtroppo si troveranno dinnanzi a dilemmi morali, come la possibilità di poter colpire civili e certamente anche soldati, è inutile specificare che raramente le cose sono bianche o nere.
Come ci si arrende però ad un drone? Una domanda certamente non da poco, poiché abbiamo visto come in alcuni casi di guerra il bersaglio non ha la possibilità di arrendersi per la dinamica stessa del combattimento mentre con i droni kamikaze è spesso diverso. Sono numerosi i video in cui i soldati sulla linea del fronte si ritrovano ad affrontare una minaccia ben visibile, spesso contraddistinta da un tetro ronzio, che li insegue, li bracca, per poi non dargli quasi mai speranza di salvezza. Spesso le armi convenzionali non servono a contrastare questa piccola ma mortale minaccia in arrivo e abbondano immagini e riprese, che spesso sono provenienti dallo stesso drone in azione, di soldati armarsi di bastoni, pietre e rami d’albero per cercare di allontanare o abbattere il drone prima che compia la propria missione.
Il problema? l’interazione, la quale anche se sembra la più indiretta possibile non lo è. Il drone, in questi casi, non è solo pilotato a distanza ma vede tutto, e il pilota è in grado di osservare la situazione e agire rapidamente anche in spazi angusti per inseguire il bersaglio; ma se questo vuole arrendersi? In che modo il pilota del drone potrebbe garantire l’effettiva resa dei bersagli? Dunque, ci troviamo dinanzi ad una interazione “sostanzialmente” umana che però risulta essere unilaterale in quanto le uniche vie di uscita sono la morte del bersaglio, richiamare il drone o la distruzione dello stesso, la quale non comporta un effettivo pericolo per il pilota. Pilota che forse, umanamente parlando, rischia così di perdere la capacità di empatizzare in una situazione di guerra come questa.
Forse, questa potrebbe essere una deriva, volontaria o involontaria, che porterà nel prossimo futuro i soldati di una forza armata a colpire sempre più senza “pensare”, come se dall’altra parte non ci fosse un essere umano. E questa è uno scenario molto pericoloso.

Una prospettiva ancor più spaventosa di Skynet

Nella storia e anche nelle guerre a noi più vicine i prigionieri di guerra e coloro che si arrendono sono protetti dalla convenzione di Ginevra (nello specifico la III sul trattamento dei prigionieri di guerra del 12 agosto 1949) e la violazione di quest’ultima porta a conseguenze molto serie, soprattutto con la fine delle ostilità, la razionalizzazione degli avvenimenti e le indagini. Nel singolare contesto di guerra preso in analisi da questo articolo può essere particolarmente utile ricordare l’Articolo 7 della sopracitata Convenzione: «Articolo 7. I prigionieri di guerra non possono in nessun caso rinunciare, in tutto o in parte, ai diritti loro garantiti dalla presente Convenzione e dagli accordi speciali di cui all’articolo precedente, se esistono.»[1]
La “guerra dei droni” però, al momento, non ha regole (o sembra non poterne avere) e tra le tante immagini provenienti da questa guerra sempre più “social” tra Russia e Ucraina forse le più disturbanti sono proprio quelle di singoli soldati o gruppi di questi inseguiti e uccisi da droni esplosivi, nella disperazione e nella quasi ineluttabilità della morte.
La guerra è un qualcosa di oscuro e terribile, uno strumento assolutamente volontario che ha sempre portato con sé l’orrore della violenza più efferata, eppure una sua componente umana non è mai mancata, una componente “cavalleresca” se così la si vuol chiamare. Per migliaia di anni gli uomini si sono scontrati sui più disparati campi di battaglia, compiendo atrocità e massacri ma anche in questi periodi oscuri sono esistite flebili luci di candela, gesti puramente umani come medicare un soldato avversario ferito, risparmiare una o più vite, prendere dei prigionieri piuttosto che falciare sommariamente coloro che si arrendono e anche sapere quando fermarsi e allentare il dito dal grilletto.
Una spiegazione emotiva dei casi elencati e di molti altri esempi può essere rappresentata da sentimenti proprio come l’empatia, la paura o il sapere che si è in una situazione analoga, del resto, a casa ci vogliono tornare tutti. Però se condurre un combattimento viene filtrato dalla sicurezza di uno schermo a diversi metri e chilometri di distanza, molte di queste emozioni inevitabilmente si affievoliscono, perdendosi in una rete digitale dagli effetti decisamente analogici. La de-umanizzazione della guerra è certamente ancora lontana ma se questa è la strada che si è iniziato a percorre la guerra non sarà meramente “facile” come molti anche nei decenni scorsi hanno immaginato, potrà solo divenire ancor più terribile e violenta.


Note

[1] United Nations Human Rights, Office of the High Commissioner, Geneva Convention relative to the Treatment of Prisoners of War. In: https://www.ohchr.org/en/instruments-mechanisms/instruments/geneva-convention-relative-treatment-prisoners-war


Foto copertina: droni